Perché sto con Houellebecq

Houellebecq

Michel Houellebecq. Provocatore, contro ogni tipo di sistema, nichilista: un uomo che se ne sbatte di tutto. Pensa una cosa e la scrive, la rivendica in televisione, diventa addirittura caso letterario. Uno scrittore come pochi ne sono rimasti: aria da poeta maledetto, vis polemica come ragione di vita, denuncia dei malanni di questa società occidentale sempre più imbizzarrita come oggetto dei suoi libri.

Nel mese passato dall’uscita di Soumission si sono lette recensioni divise abbastanza equamente tra sviolinate e roghi accesi, anche perché ormai la figura del recensore è difficile da viversi, soprattutto se si prova a scrivere di libri che nemmeno son stati letti. Il paradigma è semplicissimo: un libro che narra di una Francia islamizzata che esce nei giorni dell’attacco jihadista a Parigi. Da una parte quelli della smodata e urlata difesa della società occidentale, dall’altra quelli della sguaiata offesa e dell’accusa di islamofobia a uno scrittore.

Uno scrittore, appunto. Non Hollande, un ministro, un ambasciatore: uno scrittore che scrive quel che cazzo gli pare. E lo scrive pure bene, con una prosa e una scrittura più che introvabile. Chi ha levato gli scudi contro Michel Houellebecq nemmeno sa chi sia, Michel Houellebecq. Perché conoscendo l’uomo avrebbero capito che in questo momento da un provocatore nato come lui non avrebbero potuto aspettarsi altro. Per le belle storielle moraliste bussare da Franzen, Safran Foer, Hosseini: non da H’becq, diamine.

Houellebecq il quale non ha fatto altro che ricordare come la libertà o è per tutti o per nessuno. E come molti di noi si credano liberi senza assolutamente esserlo.